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Ricotta Romana Dop, gemma casearia del Lazio

L’arte casearia, tecnica atta a conservare le caratteristiche del latte di pecora, ha radici veramente remote. Alcuni stu­diosi fanno risalire le sue origini a circa diciottomila anni fa, attribuendola ai pastori della Mesopotamia. Certo è che un bassorilievo ritrovato a Ur, nell’at­tuale Iraq, risalente al terzo millennio prima della nasata di Cristo, raffigura già momenti della mungitura e della produ­zione di formaggio. Anche Marco Porcio Catone (234-149 a.C.) faceva riferimen­to alle norme che già da allora regolava­no l’usufrutto della pastorizia nella Roma repubblicana, attribuendo al latte di pe­cora una funzione religioso-sacrificale e un utilizzo alimentare, sia come bevan­da, sia come base per la produzione di formaggi freschi e stagionati, nonché di latticini. Anche Ludo Columella, scrit­tore romano di agricoltura, nel suo De re rustica, fa cenno ai vari sistemi di casei­ficazione, ivi compresa la produzione di ricotta. Già nell’alimentazione greca, di per sé frugale, esisteva un latticino simi­le all’attuale ricotta: l’oxygala. 

La storia della ricotta torna in qualche modo a intrecciarsi con la religione nel volume Formaggi Italiani, di Mauro Vizzardi, se­condo il quale la diffusione della pro­duzione di questo latticino nell’Agro Ro­mano, si deve a san Francesco d’Assisi che, nel 1223, insegnò ai pastori del La­zio le tecniche di produzione. L’areale di produzione della Ricotta Romana, va­le a dire l’intero territorio laziale, è sicuramente caratterizzato da condizio­ni pedoclimatiche favorevoli all’alleva­mento degli ovini, animali dai quali si ricava il latte di pecora per la produzione. L’orogra­fia della regione annovera colline, pianu­re alluvionali e monti, sia calcarei sia vulcanici e temperature medie piutto­sto miti, fattori climatici che consen­tono di sfruttare i pascoli per gli ani­mali, cosa che conferisce al latte di pecora carat­teri di pregio e qualità per la produzione casearia, contraddistinguendo così anche la ricotta che se ne ricava. 

L’attribuzione della Denominazione di origine protetta alla Ricotta Romana ri­sale al maggio 2005. Il disciplinare de­finisce la Ricotta Romana Dop come: “un prodotto fresco a pasta bianca e struttura grumosa, dal sapore dolciastro di latte di pecora, con un contenuto lipidico mini­mo del quaranta per cento sulla materia secca, dalla pezzatura che può raggiun­gere i due chilogrammi”. Il latte di pecora deve essere prodotto da pecore di razza so-pravvissana, sarda, comisana e massese, compresi i loro incroci, che devono pro­venire dalla regione Lazio e devono esse­re alimentate a pascolo o con foraggi, naturalmente privi di Ogm, raccolti all’in­terno della stessa regione. La Ricotta Romana Dop si ottiene dal siero della la­vorazione del latte di pecora, ovvero la compo­nente liquida della coagulazione del lat­te di pecora e si ottiene attraverso il meccanismo di spurgo dovuto alla rottura della ca­gliata, processo connesso alla produzio­ne di formaggio. È un liquido di colore giallo pallido che rimane nel contenito­re dove si è scaldato il latte ovino, al­l’interno del quale si è ottenuta la ca­gliata per mezzo del presame o caglio. Questo siero, dopo l’estrazione della cagliata, (quella massa che lavorata e stagionata diverrà successivamente for­maggio), viene nuovamente riscalda­to, procedimento che dà il nome alla “ricotta” (nuova cottura dopo quella necessaria alla produzione della caglia­ta); quando arriva a una temperatura che si aggira intorno ai cinquanta gra­di centigradi è consentita l’aggiunta di latte intero di pecora, in una quantità che non superi il quindici per cento del totale del siero. La massa poi viene por­tata a una temperatura di 85-90 °C per consentire la precipitazione e la coagu­lazione delle sieroproteine, elementi di altissimo valore nutrizionale che rendo­no la ricotta un alimento oltre che squi­sito anche prezioso per la nostra salu­te: si vede quindi affiorare la ricotta come per magia sulla superficie del li­quido in forma di piccoli fiocchi, reazio­ne favorita dall’interruzione, per alme­no cinque minuti, del riscaldamento del contenitore dove è posto il siero. La separazione di questi fiocchi dal liqui­do residuale, detto “scotta”, dal quale sono stati prodotti, avviene attraverso una delicata operazione manuale svolta con una sorta di mestolo bucato, ra-maiolo o schiumarola. La ricotta una volta raccolta è posta in fuscelle fora­te, dove resterà per un periodo variabi­le, dalle otto alle ventiquattro ore, uti­le a farle perdere quella parte di scotta in essa ancora contenuta. Dopodiché sarà confezionata con il marchio della denominazione, il nome, la ragione so­dale e l’indirizzo dell’azienda produttri­ce, senza però aggiungere, come im­pone il disciplinare, ogni aggettivo elo­giativo del prodotto, come superiore, fi­ne o selezionata.

Il Consorzio di Tutela della Ricotta Romana Dop

Il dottor Emanuele Marella, presidente del Consorzio di Tutela della Ricotta Romana Dop

“Il Consorzio nasce all’inarca una decina di anni fa – ci dice il Emanuele Marella, presidente di questo ente – per precisa volontà di Cesare Lopez, storico presi­dente del Consorzio, e della nostra fa­miglia. Eravamo entrambi produttori del­la Ricotta Romana con lo stile classico, gli stessi procedimenti adottati poi dal disciplinare, perché credevamo molto in questo prodotto che era già molto ap­prezzato e volevamo quindi estendere a tutti gli allevatori laziali le tecniche sto­ricamente tradizionali per ottenere ri­cotta di qualità”. La famiglia Marella ha origini nel comune di Amatrice, dove da sempre hanno allevato ovini, bovini e cavalli. La pratica della transumanza li portava a frequentare i pascoli della cam­pagna romana, dove poi la conseguenza logica li ha indotti ad aprire il loro casei­ficio. “L’inizio – prosegue Marella – come per tutte le piccole realtà non è stato semplice, abbiamo faticato a far crescere questa nuova realtà, ma oggi, grazie alle molte iniziative messe in atto, princi­palmente la comunicazione attraverso eventi e manifestazioni, siamo n’usciti a diffondere e far affermare questa nuo­va realtà nelle denominazioni”. Emanuele Marella ci dà una piccola anticipazione. “Siamo in procinto di modificare la fu-scelle nelle quali sono contenute le no­stre ricotte. Il loro interno sarà sagoma­to sul modello dei vecchi contenitori di vimini, quelli dove in origine la ricotta veniva posta a riposare, quindi lo scalmo del latticino in futuro tornerà ad avere il classico intreccio come in origine. Anche la parte esterna sarà modificata: avrà delle fasce laterali dove sarà riportata la denominazione del prodotto e il logo del consorzio”. 

Attualmente i produttori assodati al consorzio sono sette: Buona Tavola Sini, Formaggi Boccea, La Quer­cia, Alta Tuscia, Santa Maria, mentre Lo­pez e Di Muzio sono presenti come pro­duttori di latte di pecora. La quota produttiva ap­pannaggio del Consorzio si aggira in­torno al novantacinque per cento, rap­presentando quindi la quasi totalità del­la produzione. “Nel sistema – riprende Marella – abbiamo circa cento alleva­tori e tre vigilatoli che eseguono con­trolli sulla filiera e abbiamo stretto ac­cordi con Sabina Dop e Abbacchio Roma­no Igp, quindi nel sistema sono entrati anche i loro, uno del Consorzio di Tutela Abbacchio Romano Igp, più gli altri di quello della Sabina, abbiamo così otto vigilatoli nell’ambito regionale per ese­guire controlli. Questi si svolgono non soltanto nell’ambito dell’etichettatura, ma anche con analisi e verifica della ri­spondenza del prodotto marcato. Il no­stro ente certificatore è Agroqualità, en­tità facente capo a Rina Service S.p.A., quindi affidabile nel suo operato”. Qual­che dato di produzione: “Nel 2017 abbia­mo prodotto arca duecentoventimila chili di Ricotta Romana Dop, per un fat­turato che si aggira intorno al milione di euro, con un incremento sull’anno prece­dente pari al dieci per cento”. Il mercato di riferimento è senza dubbio quello del Centro Italia, senza esclusione del re­sto del Paese. Una piccola quota di mer­cato è rappresentata anche dagli Stati Uniti. “I romani – riprende il dottor Ma­rella – sono abituati a una ricotta di qua­lità, priva di panna, acidificanti e latte di pecora congelato, ingredienti non certo dan­nosi per la salute, ma non presenti e non ammessi dal nostro disciplinare, e per questo sono disposti a spendere an­che qualcosa in più, stiamo parlando co­munque di una afra che può aggirarsi in­torno ai venti euro annui, somma sicura­mente alla portata di tutti i consumato­ri attenti alla qualità dei cibi che porta­no sulla loro tavola”. La Ricotta Romana, un alimento sano e naturale, da sempre presente nella cucina tradizionale lazia­le, che ci riporta indietro nel tempo, quando la nostra merenda era compo­sta da pane, ricotta e zucchero.

Un consiglio goloso, Ricotta Romana fritta

Un piatto della tradizione laziale per il quale non ci sentiamo di darvi delle dosi, saranno dettate dalla singola discrezione, ma solo il procedimento. Disporre la Ricotta Romana Dop in un passino affinché perda il siero residuo. Formarne poi dei cubetti che saranno prima infarinati poi saltati nell’uovo battuto. Quindi tuffarli nell’olio bollente, preferibilmente extravergine di oliva, e toglierli quando avranno raggiunto il giusto grado di doratura. Il risultato sarà un cuore compatto e morbido allo stesso tempo, racchiuso in una leggera crosta croccante. Un vero piacere per il palato.

Formaggi Boccea, azienda green

Un’azienda attenta all’ambiente, la prima sul territorio a dotarsi di un proprio impianto di biogas, prodotto con il siero di scarto, che prima di essere avviato al processo è privato della sua acqua, cosa che consente anche di recuperare il calore in esso contenuto. Calore che, insieme a quello prodotto dall’impianto biogas, viene utilizzato sia per produrre energia elettrica sia per riscaldare gli ambienti. Per la produzione dell’energia si avvale anche di un impianto fotovoltaico, che la rende quasi completamente autonoma. L’illuminazione è a led, i motori sono dotati di inverter, ed è provvista anche di depuratori per le acque utilizzate per la produzione, nonché di letti per l’essiccazione dei fanghi. Non disperde neanche il calore frutto della lavorazione, perché quello prodotto nella prima bollitura della ricotta, lo recupera e lo riutilizza per portare a ebollizione la successiva lavorazione. Tutto questo consente all’azienda di scrivere, a giusta ragione, sulle proprie confezioni: “tutto prodotto con energia verde”.

Valori nutrizionali per 100 grammi di Ricotta Romana Dop